Non può essere solo il tecnico che non ha vinto alcuna partita in Serie A. Alvini è uomo d’altri tempi, che per la Cremonese ha dato tutto
Esuberanza e indomita passione da una parte, testardaggine e perseveranza dall’altra. Con queste parole si può definire in breve l’esperienza di Massimiliano Alvini alla Cremonese, non particolarmente fortunata per i pochissimi punti racimolati nelle 18 partite che gli sono state concesse in Serie A prima dell’esonero. Nonostante Alvini abbia dato tutto se stesso per regalare qualche gioia alla piazza, verrà ricordato per non aver mai vinto una partita. In realtà non soltanto per quello, anche perché sarebbe parecchio ingeneroso. Alvini fin dai primi giorni, entrando al Centro Sportivo in punta di piedi, è riuscito a farsi apprezzare per gentilezza e disponibilità. Con tutti. Valori che non daranno punti in più in classifica, ma che dal punto di vista umano e relazionale danno tantissimo. Non è facile incontrare persone così nel mondo del calcio di oggi, e chi ha avuto modo di conoscerlo bene, sa che questo non è un luogo comune.
L’INIZIO – Per raccontare Alvini dobbiamo partire dai primissimi giorni di grigiorosso. La società – Giacchetta su tutti, avendo lavorato con lui ai tempi dell’AlbinoLeffe – dopo l’addio spiazzante di Pecchia ha puntato fin da subito sul tecnico di Fucecchio, nonostante avesse appena rinnovato col Perugia. Il tira e molla è durato molto tempo: la Cremonese voleva lui e lui voleva la Cremonese, perché il primo treno per la Serie A – a oltre 50 anni di età – non andava perso. Trovati gli accordi vari per le cifre, Alvini è stato ufficializzato nei primi giorni di giugno, lasciando perplessi i tifosi della Cremo. Ed era più che lecito: come mai affidare a un debuttante assoluto una squadra tornata in A dopo 26 anni, e per di più da rifondare completamente – in breve tempo – per i tanti prestiti rientrati alla base? L’entusiasmo del primo anno di A dopo una vita ha preso il sopravvento, ponendo in secondo piano la questione. Anche perché – si diceva – «con Ariedo Braida in società, ci fidiamo della scelta. Anche quando fu preso Pecchia regnava insoddisfazione. Invece…».
APPROCCIO – «Sarà dura, ci proviamo», e sorrideva, nei corridoi del Centro Arvedi in occasione delle prime conferenze. Alvini è entrato in sintonia con la piazza perché è stato subito associato alle ultime “Cremonesi” che avevano affrontato il massimo campionato, quelle con Luzzara presidente e Gigi Simoni in panchina, quelle della Cremo “pane e salame”. Un personaggio, Alvini, quasi d’altri tempi, innamorato alla follia del pallone e del giuoco del calcio, che aveva calcato i campi di tutte le categorie (centinaia e centinaia di panchine) prima di arrivare in A. Lo ha fatto in tuta, o al massimo con un maglioncino scuro a maniche lunghe, indossato fino all’ultimo giorno. Garbato e cordiale in ogni circostanza formale e non, si è messo in gioco con idee ed entusiasmo, avvicinando i tifosi e cercando di amalgamare una squadra in costruzione e dalle mille nazionalità diverse (e tra poco ci arriviamo). Ricordiamo anche i bei momenti del ritiro a Dimaro, lì dove tutto è cominciato: lavoro incessante sul campo e team building che proseguiva anche fuori, tra rafting sul fiume Noce e aperitivi improvvisati insieme ai tanti tifosi, accorsi in massa.
MERCATO – Estate vuol dire anche calciomercato, e per la Cremonese è stata una sessione ricca di movimenti, dovendo costruire una rosa praticamente da zero. Sarà ben più difficile del previsto e si scoprirà che buona parte delle trattative (diciamo il 95%) sono state portate avanti dal direttore sportivo Giacchetta, con Braida intervenuto solo per un paio di operazioni. Non che non ci fidassimo del lavoro di Giacchetta, ma il ragionamento è semplicissimo: con un veterano come Braida, che ha vissuto la A per anni e anni portando al Milan campioni da ogni parte del mondo, sarebbe stato logico affrontare il mercato in coppia. Così non è stato e Alvini si è ritrovato a maneggiare una rosa di giocatori o provenienti dalla Serie B, oppure dall’estero (tra Austria, Germania, Olanda, Belgio e così via). Pochi gli innesti di giocatori che già conoscevano il campionato italiano: Radu, Chiriches, Meité, Okereke ed Escalante. Rimaneva poco tempo a disposizione, il campionato sarebbe cominciato da lì a poco, oltretutto prima del solito, dovendo a novembre interrompersi per il mondiale. A complicare le cose il sorteggio del calendario: trasferte a Firenze, Roma (sponda giallorossa) e Milano (sponda Inter) nelle prime quattro giornate.
IDENTITÀ – Preso atto di una rosa ancora incompleta in vista del debutto di Firenze di metà agosto, Alvini non si è affatto scoraggiato. Anzi, fidandosi completamente del lavoro dei direttori il tecnico aveva già dato un’identità a coloro che erano già arrivati da qualche settimana: fraseggio, verticalizzazioni, aggressività. Insomma, una Cremo che avrebbe puntato sul gioco per salvarsi, decisione che Alvini pagherà a caro prezzo in seguito, quando capirà che la Serie A è davvero un altro sport rispetto alle serie minori. Ammirabile e piacevole agli occhi dei tifosi (che contano più di tutto e tutti, ricordiamocelo), ma poco adatto per una neopromossa zeppa di giovani scommesse tutte da scoprire. Ciononostante, la partita di Firenze è persa all’ultimo secondo per 3-2 perché Radu inciampa e si butta il pallone in porta da solo. E pensare che per oltre un tempo la Cremo ha giocato in dieci uomini. Le premesse sono buone.
IL CAMPIONATO – Anche a Roma arriva una buona prestazione, ma la Cremo esce sconfitta 1-0. Sarà il leitmotiv del girone di andata dei grigiorossi, in cui raccoglieranno appena 7 punti totali con tante prove di ottimo livello, ma spesso sfociate in ingiuste sconfitte (Juventus) o stretti pareggi (Lecce). Fallite miseramente, invece, le partite decisive per la salvezza: Sampdoria in casa, Empoli e Verona fuori casa, Monza in casa. Non serve a nulla fermare sul pari il Milan campione d’Italia allo Zini se poi non scendi in campo con il giusto atteggiamento negli scontri diretti. E qui subentrano quindi le colpe di Alvini, riferendoci ai suoi difetti descritti in apertura: testardaggine e perseveranza. Anzitutto, il desiderio – sempre e comunque – di fare la partita contro chiunque nonostante fosse evidente che non avesse i giocatori in rosa per esprimere un certo tipo di calcio. Non puoi pensare, da neopromossa, di tenere alto il baricentro a San Siro contro l’Inter, che ha avuto vita facile per il 3-1 finale. Solo negli ultimi match della sua gestione ha capito di dover fare un passo indietro per fare qualche punto: gli impegni con Milan e Juve sono stati onorati, peccato per il gol di Milik al 90′. Già diverse le partite con Verona e Monza, quando già circolava la voce di un esonero imminente. Psicologicamente la squadra ha pagato la pressione di quei giorni, unita ai primi fischi dei tifosi, stufi delle continue delusioni.
DIFETTI – I tifosi della Cremonese meritano un voto se possibile superiore al 10 e lode per come hanno affrontato il primo scorcio di stagione. Ci sono sempre stati e hanno sostenuto i ragazzi di Alvini in qualunque circostanza, in casa e in trasferta. Ma qualcosa si è rotto, nelle ultime settimane, tra la piazza e la squadra, e dunque anche il mister. Prima della sosta qualche buona prestazione era giunta, ma quel mese e mezzo del mondiale non è stato facile né benevolo, e pensare che doveva essere il tempo delle grandi riflessioni e della ripartenza: Braida e Giacchetta confermano Alvini malgrado la posizione di classifica e il già ampio distacco con la zona salvezza e promettono colpi di mercato per rinforzare la rosa. Se Alvini non è stato esonerato dopo Sampdoria o Empoli, è perché la società – pur rimanendo in silenzio – si è resa conto di non aver operato come avrebbe dovuto. Mancano qualità ed esperienza, valori indispensabili. Alvini – e qui veniamo alla perseveranza – insiste sulla difesa a tre, quando agli occhi di tutti nei rari casi di 4-2-3-1 la Cremonese aveva convinto maggiormente (Lecce, La Spezia…). Paga anche le mancate ammissioni di colpa: a volte – e ci pare evidente – sono stati sbagliati gli interpreti (Bianchetti e non Hendry a Verona), a volte sono stati rispolverati dal nulla giocatori che ormai aveva lasciato fuori da molto (Ghiglione col Monza, Zanimacchia a Verona), a volte sono stati sbagliati i ruoli (Zanimacchia trequartista, Quagliata braccetto della difesa a tre…). Qualche scelta incomprensibile c’è stata e capita a tutti, solo avremmo desiderato qualche spiegazione in più. Solo su Buonaiuto, una volta, Alvini si è scusato apertamente dicendo che avrebbe meritato più spazio.
IL FINALE – Insomma, un allenatore comunque fiero e orgoglioso delle proprie idee e del proprio percorso. Ha voluto chiudere così come ha iniziato, con la difesa a tre e con la volontà di proporre gioco più degli avversari, qualunque essi fossero. Anche se, sinceramente, come detto sopra, le sconfitte con Verona e Monza sarebbero da cancellare e da rimuovere da questi discorsi, essendo giunte in una situazione già molto compromessa. Di classifica e di umore. Alvini non nasconde le emozioni, già circolava voce che l’esonero fosse apparecchiato anche in caso di vittoria col Monza, per questo nei giorni precedenti aveva già salutato tutti. Commosso, naturalmente, perché persona vera. Fino in fondo. È lo stesso che, dopo Roma-Cremonese, torna sul prato dell’Olimpico e inquadra con lo smartphone lo stadio vuoto, simbolo di una battaglia che si era appena conclusa, nonché luogo storico che si era conquistato dopo tanta gavetta. È lo stesso che, dopo il pari col Sassuolo, a Dazn è felice come un bambino quando scopre che Luca Vialli era venuto appositamente allo Zini per vedere la sua Cremonese.
L’esperienza di Alvini alla Cremonese ha vissuto alti e bassi. Più bassi, a giudicare dai risultati. E ci si è messa anche un po’ di sfortuna in certe situazioni. La società ha deciso di puntare su un debuttante: era rischioso, si sapeva. Ci hanno provato, è andata male. Ma possiamo comunque essere felici di aver conosciuto Massimiliano, e magari un giorno le strade si incontreranno di nuovo. Grazie e in bocca al lupo per tutto.
Di Andrea Ferrari